Buongiorno, oggi pubblichiamo l’intervento del nostro Direttore Sanitario Daniele Costa al Convegno CGIL – “Non solo andata…le RSA del futuro”
Intervento Dr. Costa Daniele del 2/5/2022.
Buongiorno a tutti e grazie dell’invito. Dopo l’intervento degli Amministrativi, ora l’intervento di un sanitario che vi espone la propria esperienza nell’RSA che dirige da quasi 5 anni. La mia strutturaU.G.R. è polifunzionale, piccola (come piace al collega Robazzi), caratterizzata da 40 posti RSA suddivisi su due nuclei, 15 posti di Centro Diurno Integrato (10 a contratto e 5 autorizzati), 15 posti negli Alloggi Protetti per Anziani ancora autosufficienti (di cui qualcuno usufruisce dell’unità d’offerta Residenziali Assistita) e un IDR (riabilitazione) che svolge circa 12000 prestazioni riabilitativi annue.
Purtroppo l’U.G.R. dal 2021 non è più sul territorio in quanto abbiamo dovuto chiudere il servizio dell’RSA Aperta in quanto economicamente non sostenibile.
Parlando nel particolare dell’RSA, abbiamo passato due anni particolarmente complessi, sia fisicamente che emotivamente. La nostra struttura, per fortuna e anche bravura, è stata l’unica o forse tra le pochissime che è riuscita ad ottenere zero casi Covid tra gli ospiti, quindi zero decessi Covid, ma non senza fatica. Abbiamo passato un periodo dove dovevamo cambiare Procedure interne molto frequentemente per stare al passo delle numerose modifiche richieste da Stato e Regione. I nostri operatori sono stati fenomenali, si sono attenuti al susseguirsi delle variazioni in maniera ineccepibile e il risultato è quello che abbiamo ottenuto, ossia tenere fuori dalla struttura il virus.
Si è parlato di liste d’attesa per l’accesso in RSA oramai esaurite in molte strutture. L’UGR aveva una lista d’attesa di 100 donne e 30 uomini prima della pandemia e di 80 donne e 30 uomini al momento attuale: questo dato nella nostra struttura non è particolarmente variato e perché?
L’utenza è alla ricerca di strutture piccole dove l’ambiente risulti essere familiare e cercano l’UGR, ora come allora, sempre per questo motivo. Avere una struttura piccola non è un difetto ma un pregio. Purtroppo continuano ad accreditare strutture da 200-300 posti letto, strutture che, mi dispiace usare questo termine, sono come degli “allevamenti” di anziani. In una struttura grande il nostro anziano è uno dei tanti, in una struttura piccola è uno dei pochi, al quale si può dare un’assistenza maggiore, particolareggiata e personalizzata e non un’assistenza standardizzata, seppur sempre di buon livello.
Si è parlato di minuti assistenziali che eroghiamo al nostro utente: UGR erogava prima della pandemia circa 1200 minuti/settimanali e durante la pandemia siamo saliti a più di 1300 minuti /settimana per utente, e questo perché? Per esempio il nostro CDI è stato chiuso per mesi in prima ondata come richiesto da Ministero e Regione, quindi gli operatori deputati al CDI dovevano essere messi in cassa integrazione; invece no, abbiamo pensato di incrementare l’assistenza degli ospiti dell’RSA che in quel momento avevano maggiore bisogno e di avere più personale in caso di sostituzioni di operatori positivi al SARS-CoV-2.
Per quanto riguarda la problematica della carenza di personale, soprattutto nel periodo pandemico abbiamo visto una migrazione degli operatori dalle RSA agli ospedali. Ci sono state strutture con un elevatissimo turnover di operatori, strutture dove in una settimana se ne andavano in 4 o 5. Da una parte, a Mantova l’ospedale C. Poma ha fatto incetta di OSS e infermieri non preoccupandosi minimamente di come le strutture potessero fare a coprire i turni (vorrei anche sapere dove metterà il Poma tutti quegli operatori che ha assunto), dall’altra parte comparti amministrativi che non si ponevano neanche l’interrogativo del perché l’operatore se ne andasse… forse qualche domanda ce la si dovrebbe porre.
Abbiamo citato tutti gli operatori, OSS, Infermieri, Medici, ma non dimentichiamoci degli Educatori che in questo periodo pandemico hanno dovuto programmare e gestire gli incontri tra ospiti e familiari, un lavoro fondamentale al fine di mantenere i contatti affettivi.
Soffermiamoci un attimo sull’argomento visite e familiari. Ora so di dire un concetto che va un po’ controcorrente, ma voglio dire a tutti che i nostri anziani in questi due anni sono stati sostanzialmente bene, avevano ovviamente voglia di vedere i loro familiari, ma non c’è stato alcun scompenso degno di nota. Nessuno più di me può capire quanto sia difficile questo tipo di problematica; io, che in prima ondata ho lottato tra la vita e la morte a 37 anni per Covid, non vedendo la famiglia per più di 35 giorni e che a distanza di sei mesi ho perso un padre a 70 anni ,sempre per Covid, senza neanche dargli il saluto che meritava. Abbiamo fatto di tutto per mantenere il contatto affettivo tra ospite e familiari, videochiamate, stanza degli abbracci, attraverso le vetrate (che personalmente non ho mai apprezzato perché sembrava di essere allo zoo) con tutte le difficoltà del caso legate all’ipovisus e all’ipoacusia dell’ospite e alla necessità di posizionare correttamente i DPI ai familiari che rendeva ancora più complesso il loro riconoscimento. Forse sono stato particolarmente fortunato, ma non ho avuto un familiare che si è lamentato delle decisioni prese dal sottoscritto al fine di prevenire il contagio.
Purtroppo, sin dall’inizio della pandemia, ma anche nell’ultimo periodo, i giornali continuano ad additare le RSA come “lager”. Io sinceramente sono un po’ stanco di far parte di “quelli sporchi, brutti e cattivi”. Si è parlato di dittatura sanitaria: noi direttori ci siamo attenuti a quello che il Ministero della Salute, la Regione e ATS richiedeva. Nelle varie delibere c’era sempre un elenco di azioni da compiere per contenere il contagio e in fondo alla pagina sempre la stessa frase “Le Direzioni Sanitarie, a seconda del periodo pandemico, possono inasprire tali azioni”. Quindi io non mi sento affatto un dittatore, riprenderei tutte le stesse decisioni intraprese, senza alcun rimorso e con il solo obiettivo di tutelare la salute dei miei ospiti e dei miei operatori. Durante tutto il periodo abbiamo avuto i necessari e dovuti controlli di ATS che verificavano l’aggiornamento dei nostri POG (piani organizzativi gestionali), del nucleo NAS dei Carabinieri e infine potevamo avere la visita del “Comitato Europeo per la prevenzione delle torture, dei trattamenti inumani e degradanti”, lo voglio ripetere del “Comitato Europeo per la prevenzione delle torture, dei trattamenti inumani e degradanti”. Ma come pensano che lavoriamo in Europa? Ma cosa pensano che abbiamo fatto in questi due anni? Neanche fossimo una prigione del Sud America. Sicuramente ci sono state strutture più o meno virtuose, ma penso anche che quando si parla di RSA ci vorrebbe un maggiore rispetto e considerazione.
Il titolo del convegno è “RSA del futuro…non solo andata”. E’ inutile nascondersi dietro un dito, le strutture geriatriche non sono delle neonatologie e purtroppo i nostri ospiti difficilmente rientrano al domicilio e dopo un periodo più o meno breve decedono.
Io visito persone al domicilio con l’intento di mantenerli nel loro ambiente familiare possibilmente fino all’ultimo giorno, lasciando l’ipotesi dell’RSA solo ai casi estremamente gravi che necessitano di assistenza avanzata e dai quali bisogna sollevare il caregiver. Io lo dico sempre “il paziente può rimanere a casa finché non si sorpassa il livello di capacità assistenziale o vi è un elevato stress del caregiver che non riesce a prendersene cura adeguatamente e rischia di avere reazioni verso il proprio caro del quale non andare fieri”. Far entrare un paziente in un’RSA, per il familiare non è lasciare il pacco e andarsene; se n’è preso cura a casa finché è riuscito e, facendolo entrare in una struttura residenziale, cerca di dargli l’assistenza adeguata al suo bisogno.
Gli ospiti passano l’ultimo periodo della loro vita in nostra compagnia, nelle nostre mani che devo risultare per lui e i familiari, mani sicure. Vengono accompagnati in questo cammino e, nell’ultimo periodo, alla morte. Ma l’accompagnamento deve fondarsi su due grandi pilastri, l’assenza totale di dolore e la conservazione della dignità. La dignità. Un valore imprescindibile che deve essere conservato fino all’ultimo respiro.